Riportiamo, in questa sezione del sito, alcune massime relative a sentenze inerenti la salute e sicurezza del lavoro.
Cassazione Penale, Sez. 4, udienza 17 dicembre 2015 (deposito marzo 2016), n. 11634 - Caduta dalla copertura della baracca di cantiere. Assoluzione di un coordinatore per l'esecuzione
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Trento ha confermato quella pronunciata dal Tribunale di Rovereto nei confronti di Z.L., mandato assolto perché il fatto non sussiste dal reato di lesioni personali colpose in danno di O.S., commesse con violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
L'imputazione elevata nei confronti dello Z.L. trae origine dall'incidente sul lavoro occorso il 12.8.2011 nel cantiere presso il quale eseguiva lavori la ditta individuale O.G.B.; lavori rispetto ai quali lo Z.L. aveva assunto la funzione di coordinatore per l'esecuzione. O.S., mentre si trovava sulla copertura della baracca di cantiere, perdeva l'equilibrio e, a causa dell'assenza di opere provvisionali che proteggessero dalla caduta al suolo, precipitava da un'altezza di 2,62 mt., riportando gravi lesioni. Allo Z.L. veniva contestato di non aver verificato la corretta applicazione, da parte dell'impresa esecutrice, delle disposizioni del piano di sicurezza e di coordinamento.
Il Tribunale mandava assolto l'Imputato perché riteneva che il lavoratore fosse salito sulla baracca non per attendere ad una qualche lavorazione attinente alle opere da realizzarsi nel cantiere ma per montare un impianto di climatizzazione; di talché non era prevedibile che si operasse sulla baracca, essendo ancora in corso i lavori.
La Corte di Appello ha rigettato l'appello proposto dalla parte civile O.S., che lamentava l'omessa considerazione dell'obbligo del coordinatore di pretendere l'integrazione del POS con la previsione delle procedure e delle misure di prevenzione necessarie nel caso di smontaggio della struttura di copertura della baracca di cantiere. Per la Corte territoriale, il POS conteneva le misure da adottare in caso di lavorazioni che comportano rischi di caduta dall'alto e così pure il PSC, che imponeva l'utilizzo di cinture di sicurezza sempre agganciate e parapetti se non utilizzabile il ponteggio. Quanto al dovere di vigilanza incombente sul coordinatore per l'esecuzione, la Corte di Appello ha ritenuto accertato che fosse stato proprio O.S., capocantiere, a disporre di operare sul tetto della baracca, con decisione autonoma, non preordinata e non comunicata allo Z.L..
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione la parte civile O.S. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis, deducendo il vizio di omessa motivazione per non aver replicato la Corte di Appello al motivo di appello con il quale si affermava la violazione da parte dello Z.L. dell'obbligo di verificare l'idoneità del POS e di verificare che fossero adottate adeguate opere provvisionali.
3. In data é stata depositata memoria difensiva nell'interesse di Z.L., con la quale si confutano le argomentazioni del ricorrente.
Diritto
4. Il ricorso é inammissibile.
La consolidata giurisprudenza di questa Corte insegna che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
Nel caso di specie il ricorrente si é limitato alla riproposizione delle censure già portate all'attenzione della Corte di Appello, che hanno trovato nella motivazione impugnata replica compiuta e non manifestamente illogica.
Si afferma che lo Z.L., nella qualità, non aveva verificato l'idoneità del POS, e quindi mancato di indicare alla ditta O.G.M. le misure da apprestarsi nella lavorazione di smontaggio della struttura di copertura della baracca di cantiere; e che non aveva verificato la concreta adozione di misure provvisionali; circostanze indicate alla Corte di Appello, che avrebbe omesso di prenderle in considerazione.
All'inverso, deve rilevarsi come la corte distrettuale abbia accertato che il POS conteneva le misure da adottare in caso di lavorazioni comportanti rischio di caduta dall'alto; può aggiungersi che le particolari caratteristiche della copertura della baracca di cantiere non conducono ad identificare una tipologia di rischio di caduta dall'alto diverso da quello che si propone per altri posti di lavoro in quota, secondo le previsioni recate dagli arti. 111 e 115 del D.Lgs. 81/2008.
Quanto alla vigilanza sulle lavorazioni, la Corte di Appello ha chiaramente espresso il giudizio di una estemporaneità dell'incarico assegnato al lavoratore, tale da mantenere lo Z.L. all'oscuro della lavorazione. Orbene, risulta evidente che in ragione di quel compito di 'alta vigilanza' che, come riconosce il ricorrente medesimo, grava sul coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013 - dep. 07/11/2013, Lorenzi e altri, Rv. 257167), allo Z.L. non possa essere rimproverato di non essere stato permanentemente presente in cantiere.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in € 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17/12/2015.
Cassazione Penale, Sez. 4, 27 gennaio 2016, n. 3626 - Infortunio durante le operazioni di smontaggio, pulitura e rimontaggio di un atomizzatore. Responsabilità di un preposto e di un RSPP
Fatto
1. Con sentenza in data 31 marzo 2015, la Corte di Appello di Bologna, 3 Sezione penale, confermava la sentenza con la quale in data 29 aprile 2013 il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, aveva condannato C.B. alla pena di venticinque giorni di reclusione e C.DP. alla pena di un mese e quindici giorni di reclusione (pene sostituite per entrambi con la pena pecuniaria corrispondente) in relazione a delitto di lesioni personali colpose (art. 590, commi 1, 2 e 3 cod.pen. - capi B e D), commesso in Mordano il 18 luglio 2008.
La vicenda per cui é processo riguarda un infortunio occorso al lavoratore N.M., dipendente della ditta Gruppo Ceramiche R. s.p.a., durante un'operazione di smontaggio, pulitura e rimontaggio di un atomizzatore: in particolare il N.M., dopo avere rimosso il materiale che occludeva la parte inferiore dell'apparecchiatura attraverso lo smontaggio del cono inferiore dello stesso, veniva attinto alla gamba sinistra dal detto cono, del peso di circa 50 chilogrammi, caduto sotto la spinta di un blocco di materiale atomizzato distaccatosi dalle pareti dell'atomizzatore, riportando le lesioni meglio descritte in rubrica.
Al C.B. il reato é contestato nella sua qualità di preposto al reparto macinazione dello stabilimento, per aver sottostimato i rischi di caduta di materiale dall'interno dell'apparecchiatura e per avere omesso di dare al N.M. informazioni sulle regole di prevenzione e protezione da osservare, in violazione dell'art. 19, comma 1, del D.Lgs. 81/2008; al C.DP. il reato é contestato nella sua qualità di responsabile del servizio sicurezza sul lavoro dello stabilimento, per non avere individuato, nella valutazione dei rischi presso il reparto, specifiche e dettagliate misure di sicurezza da adottare durante le operazioni di pulizia e manutenzione dell'atomizzatore, in violazione dell'art. 28, comma 2 lettera D, del D.Lgs. 81/2008.
2. Avverso la prefata sentenza ricorrono, con unico atto, sia il C.B. che il C.DP., a mezzo del loro difensore di fiducia.
I ricorsi sono articolati in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione in riferimento all'assunto, recepito nell'impugnata sentenza, secondo cui non sarebbe stata adottata la corretta procedura nell'operazione di pulitura dell'atomizzatore, nonché all'esclusione di cause diverse, fortuite o anomale dell'evento lesivo; si denuncia altresì travisamento della prova per omissione, non avendo la Corte di merito tenuto conto di una prova ritualmente assunta sull'accordo delle parti, ossia le sommarie informazioni rese dalla persona offesa N.M., in cui egli ricostruiva i fatti secondo una dinamica conforme a quella sostenuta dal C.B. e dal teste B., asserendo fra l'altro che, al momento del distacco del blocco di materiale, egli non era solo a sostenere il cono, ma assieme a lui vi era il C.B.; sempre con lo stesso motivo di ricorso, si lamenta la carenza di motivazione in ordine alla rimproverabilità dell'accaduto al C.B. a titolo di colpa, che la Corte di merito, secondo il ricorrente, desume in modo tautologico dal fatto stesso del verificarsi dell'evento.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione circa l'esclusione del caso fortuito sulla base della frequenza delle operazioni di manutenzione nelle quali si rendeva necessario lo smontaggio del cono inferiore, circostanza questa che, secondo i ricorrenti, é inesatta, atteso che l'operazione in corso era quella di smontaggio del cono superiore, assai meno frequente; tanto emerge anche dalle dichiarazioni, considerate in sentenza come confessorie, rese dall'imputato C.DP. in sede d'interrogatorio, in base alle quali emerge in realtà la scarsa frequenza delle operazioni di smontaggio del cono inferiore (e dunque, a maggior motivo, di quelle di smontaggio del cono superiore) e la regolarità delle operazioni di manutenzione dei macchinari dello stabilimento.
2.3. Con il terzo e ultimo motivo, i ricorrenti lamentano vizio di motivazione, nonché violazione di legge (con riferimento agli artt. 590 cod.pen. e 28 D.Lgs. 81/2008), in relazione al mancato riconoscimento del valore scriminante della prassi aziendale non codificata e conforme a quella descritta dai tecnici AUSL, prassi che i ricorrenti indicano come esimente per la sua conformità alla legge.
Diritto
1. Iniziando dal primo motivo di ricorso, alquanto articolato, esso deve considerarsi infondato.
Riassumendo le doglianze in esso recepite, deve infatti considerarsi, in primo luogo, che la Corte di merito ha convenientemente valutato e argomentato la mancata ottemperanza alla corretta procedura di smontaggio, pulitura e rimontaggio del cono superiore, volta a evitare incidenti in caso di manutenzione dell'atomizzatore (e puntualmente descritta dal teste G., tecnico AUSL), precisando che, quale che sia la versione dei fatti, dalle pareti interne dello stesso si staccò un blocco di materiale, del quale nessuno si accorse durante la manovra, laddove sarebbe stato necessario, prima del montaggio del cono superiore, assicurarsi che all'interno dell'apparecchiatura non vi fossero residui che potessero cadere, come invece accadde. Correlativamente, é corretta e adeguata la motivazione della sussistenza, in capo al C.B., del profilo della colpa, non avendo egli (mentre era impegnato accanto al N.M. nell'esecuzione della manovra) effettuato il controllo delle pareti interne con la dovuta diligenza, posto che l'evento poi verificatosi testimonia che egli, ove mai avesse effettuato il detto controllo, vi avrebbe provveduto in modo negligente e dunque non rispondente alle regole cautelari, come tale caratterizzato quanto meno da colpa generica. E' perciò corretto il ragionamento seguito dalla Corte territoriale laddove essa afferma che, qualora il controllo fosse stato eseguito in modo diligente, il C.B. avrebbe visto la presenza del blocco di materiale e avrebbe potuto quindi evitare che essa, cadendo, provocasse l'incidente.
Quanto alle sommarie informazioni rese dalla persona offesa, in relazione alla cui mancata valutazione i ricorrenti deducono travisamento della prova per omissione, va detto che tale vizio, per pacifica giurisprudenza di legittimità, é ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (per tutte vds. Sez. 6, Sentenza n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774). Nella specie, non é chi non veda che, anche a voler accreditare la versione del N.M. e, con essa, quella del C.B., la posizione di quest'ultimo non sarebbe mutata quanto a riferibilità allo stesso della condotta negligente di cui s'é detto: di ciò, sia pure in modo indiretto, la Corte di merito ha reso adeguatamente conto, evidenziando l'indifferenza, ai fini dell'affermazione di penale responsabilità dello stesso, del fatto che, pur accedendo alla ricostruzione più favorevole all'imputato, il N.M. stesse o meno sorreggendo il cono superiore, atteso che é lo stesso C.B. ad affermare che il pezzo di materiale caduto era evidentemente un residuo presente nella parte alta dell'atomizzatore, non eliminato nel corso della pulizia del macchinario che lo stesso C.B. stava supervisionando.
2. Il secondo motivo di ricorso é parimenti infondato.
Posto che, come si é detto, la condotta ascritta al C.B. deve considerarsi colposa, si esula nella fattispecie dalla nozione di caso fortuito, che consiste in quell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d'improvviso nell'azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all'attività psichica dell'agente (ex multis Sez. 4, Sentenza n. 6982 del 19/12/2012, dep. 2013, D'Amico, Rv. 254479; Sez. 4, Sentenza n. 7825 del 19/04/1990, D'Altilio, Rv. 184515). Nella specie pertanto non rileva il fatto che l'operazione di smontaggio e pulitura del cono superiore fosse sporadica o comunque meno frequente di quella di smontaggio e pulitura del cono inferiore: essa era comunque prevista, per il caso (specificamente riferito dal teste G.) che si rendesse necessaria la procedura straordinaria, ossia laddove l'ostruzione cagionata dai residui sulle pareti interne dell'atomizzatore non potesse essere risolta con la procedura ordinaria e rendesse perciò necessario smontare, appunto, il cono superiore. Non rilevano perciò, a sostegno della tesi del caso fortuito, le dichiarazioni del coimputato DP.: le quali semmai avvalorano i profili di colpa a carico di questi, laddove egli, nella qualità da lui rivestita, non provvide all'inserimento del rischio aziendale in esame nel DVR (documento di valutazione dei rischi).
3. Il terzo motivo di ricorso é inammissibile, siccome in parte generico ed in parte manifestamente infondato.
Non é stato chiarito nell'impugnazione quale fosse la prassi aziendale non codificata conforme alle modalità di espletamento delle operazioni indicate dai tecnici dell'AUSL (sotto questo profilo, il motivo di ricorso in esame pecca di aspecificità e di non autosufficienza); ma, anche volendo prescindere da ciò, correttamente la Corte di merito ha escluso la valenza scriminante di una simile prassi, posto che, se essa fosse sufficiente, non sarebbe dato comprendere il motivo per il quale l'ordinamento impone ben precisi protocolli di sicurezza, fra cui la redazione del DVR e la vigilanza delle norme in esso contenute: protocolli di sicurezza la cui mancata osservanza determina eo ipso, nel caso di incidente eziologicamente riconducibile ad essa, la responsabilità a titolo omissivo in capo all'autore della violazione degli stessi, intesi come regole cautelari. Nella specie, il mancato inserimento nel DVR del rischio legato alle operazioni di manutenzione e pulitura dell'atomizzatore (rischio la cui sussistenza non solo si é concretizzata nell'occorso, ma che era già nota, come emerso proprio dalle dichiarazioni del teste G. dell'AUSL) integra senz'altro il profilo di colpa addebitato in particolare al DP..
4. Da quanto precede consegue che i ricorsi vanno rigettati e che i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2016.
Cassazione Penale, Sez. 3, udienza 5 novembre 2015, n. 2609 - Coordinatore per l'esecuzione dei lavori
In questa sentenza la Suprema Coprte rinnova le valutazioni già ampiamente espresse in altre sentenze.
In particolare si sofferma sul fatto che al Coordinatore, sin dal D.Lgs. 494/96 è attribuito il compito di "assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli artt. 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro" nonchè quello di "adeguare i piani di cui agli artt. 12 e 13 in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute".
I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal D.Lgs. 528/99, applicabile ratione temporis al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita disciplina contenuta nell'art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l'esecuzione del lavori I compiti di "verificare" (e non più "assicurare") l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 (lett. a) e quello di "adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all'evoluzione del lavori e alle eventuali modifiche intervenute.
II coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato D.Lgs. n. 528 del 1999, art. 5 (ora sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92).
Tale posizione di garanzia gli impone, nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di adeguare il piano di sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, di vigilare sul rispetto dello stesso e di sospendere le singole lavorazioni in caso di pericolo grave ed imminente. In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che collaborano nella realizzazione dell'opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior garanzia dell'incolumità dei lavoratori (v. in tal senso Sezione 4, 14 giugno 2011, n. 32142, Goggi, rv. 251177)".
Fatto
1. C.M. ricorre personalmente per cassazione azionando, con ricorso depositato il 10 giugno 2015, il rimedio straordinario previsto dall'articolo 625-bis del codice di procedura penale nei confronti della sentenza n. 73 del 2015 pronunciata dalla quarta Sezione penale della Corte Suprema di cassazione all'udienza pubblica del 15 gennaio 2015, depositata il 2 marzo 2015.
2. Per la correzione dell'impugnata sentenza il ricorrente articola due motivi di "gravame".
2.1. Con un primo motivo deduce un errore di fatto alla pagina 4 della sentenza (terzo periodo) consistente nell'avere la Corte di cassazione considerato come circostanza da provare "un fatto già provato". La differente circostanza che si sarebbe voluto provare, invece, consisteva della dimostrazione della condizione di "assoluta regolarità del ponteggio" alla data del 18 giugno 2002 (data rilevante in quanto è stata l'ultima volta che il ricorrente ha effettuato verifica sui luoghi del 25 giugno 2002, data del tragico avvenimento).
2.2. Con il secondo motivo lamenta altro errore di fatto rilevabile a pagina 6 della sentenza (secondo periodo), laddove si è considerato l'articolo 5 del decreto legislativo n. 528 della 1999 mentre detto articolo di legge, nella sua forma aggiornata valida al momento del fatto (anno 2002), prevedeva espressamente che l'esercizio dei poteri di comando in capo al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione potesse essere esercitato solo laddove la situazione di pericolo grave ed imminente fosse dal coordinatore direttamente riscontrata. Il ricorrente invece fino a che fece la verifica sul cantiere riscontrò la totale inesistenza di situazioni di pericolo grave ed imminente, come avrebbe dovuto confermare l'ingegnere B., non escusso dal collegio giudicante.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza rilevabile ictu oculi e pertanto va deciso de plano.
2. Il ricorrente aziona infatti lo speciale mezzo di impugnazione per dedurre esclusivamente presunti errori valutativi o di giudizio, come si evince, con tutta evidenza, dal contenuto delle censure sollevate.
Sul punto, va preliminarmente chiarito che la fisionomia del ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. è compatibile solo con una disciplina finalizzata a porre riparo a mere sviste o errori di percezione nei quali sia incorso il giudice di legittimità e non anche per introdurre un ulteriore grado di giudizio, ciò che si porrebbe, del resto, in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (Sez. V, n. 37725 del 17/10/2005, Avignone, Rv. 232313).
3. Passando all'esame della prima censura è il caso di rimarcare come dal testo della sentenza impugnata emerga con tutta evidenza come la Corte di cassazione, in relazione al motivo di ricorso proposto, abbia chiarito che la Corte d'appello aveva fornito adeguata giustificazione del mancato esercizio del potere di rinnovazione, rilevando che la circostanza oggetto della prova testimoniale (lo stato del ponteggio al momento dell'incidente) era già documentata in atti, non apprezzandosi così quella situazione di incertezza ai fini del decidere che, sola, lo avrebbe consentito (anzi, addirittura imposto).
La diversa circostanza, ossia la prova dello stato del ponteggio alla data della presunta ultima verifica in loco eseguita dal ricorrente (antecedente alla data dell'incidente), non risulta enunciata nel ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello, essendosi, in tale sede, il ricorrente esclusivamente doluto di aver "segnalato l'assoluta necessità di procedere all'escussione del teste (...) in quanto idonea a confermare una circostanza di fatto assolutamente decisiva per l'attuale imputato; peraltro detta necessità di integrazione probatoria si era venuta a creare per la prima volta solo all'esito delle infondate valutazioni fatte dal gip nella propria sentenza emessa con rito abbreviato".
4. Quanto alla seconda censura, va detto che l'affermazione della Corte di cassazione (circa il fatto che la presenza in cantiere del coordinatore per la sicurezza non va intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla posizione di garanzia di cui lo stesso è titolare nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato D.Lgs. n. 528 del 1999, art. 5 (ora cit. D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92), che comprendono anche poteri a contenuto impeditivo in situazioni di pericolo grave ed imminente) è stata preceduta da un ampio excursus in diritto dell'evoluzione legislativa in materia per ritenere la manifesta infondatezza dell'assunto secondo il quale i poteri del coordinatore per l'esecuzione dovevano essere esercitati solo nei casi in cui il pericolo grave ed imminente fosse direttamente riscontrato dallo stesso.
E' allora il caso di ripetere che la Corte di cassazione ha, sul punto, affermato che "la suddetta interpretazione non tiene conto della lettera della legge e dello spirito della riforma, indirizzata a rimarcare ancora più incisamente la posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione dei lavori.
Questa figura professionale, per la prima volta organicamente disciplinata dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (attuazione della direttiva 92/57 Cee concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), è definita dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2 come "soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'art. 5".
In base all'originaria formulazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, al coordinatore per l'esecuzione dei lavori (nominato dal committente o dal responsabile dei lavori: art. 3, comma 4) era attribuito l'obbligo di "assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli artt. 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro" (lett. a) e quello di "adeguare i piani di cui agli artt. 12 e 13 in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute" (lett. b).
I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528, applicabile ratione temporis al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita disciplina contenuta nell'art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l'esecuzione del lavori I compiti di "verificare" (e non più "assicurare") l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 (lett. a) e quello di "adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all'evoluzione del lavori e alle eventuali modifiche intervenute".
Il coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato D.Lgs. n. 528 del 1999, art. 5 (ora sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92).
Tale posizione di garanzia gli impone, nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di adeguare il piano di sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, di vigilare sul rispetto dello stesso e di sospendere le singole lavorazioni in caso di pericolo grave ed imminente. In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che collaborano nella realizzazione dell'opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior garanzia dell'incolumità dei lavoratori (v. in tal senso Sezione 4, 14 giugno 2011, n. 32142, Goggi, rv. 251177)".
5. Perciò, i rilievi formulati dal ricorrente non si traducono affatto in errori percettivi e, all'evidenza, neppure di giudizio, posto che, in definitiva, l'errore di fatto deve risolversi in una carenza che influisce sul processo formativo della volontà produttiva di un esito decisionale diverso da quello che sarebbe stato adottato in assenza dell'errore stesso, situazione nella specie del tutto insussistente in entrambi i casi investiti dal gravame.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 04/11/2015
Cassazione Penale, Sez. 4, 02 marzo 2015, n. 9158 - Eliminazione del parapetto e caduta mortale. Responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione
Il coordinatore per l'esecuzione, per la prima volta organicamente disciplinato dal D.Lgs. 494/96, è definito all’art. 2 come "soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'art. 5". L’originario art 5 del 494/96 attribuiva al CSE il compito di "assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli artt. 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro" (lett. a) e quello di "adeguare i piani di cui agli artt. 12 e 13 in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute" (lett. b). I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal D.Lgs. 528/1999, applicabile al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita disciplina contenuta nell'art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l'esecuzione dei lavori i compiti di "verificare" (e non più "assicurare") l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 (lett. a) e quello di "adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute". Il coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato D.Lgs. n. 528 del 1999, art. 5 (ora sostituito dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 92). Tale posizione di garanzia gli impone, nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di adeguare il piano di sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, di vigilare sul rispetto dello stesso e di sospendere le singole lavorazioni in caso di pericolo grave ed imminente. In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che collaborano nella realizzazione dell'opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior garanzia dell'incolumità dei lavoratori (v. in tal senso Sezione 4, 14 giugno 2011, n. 32142, Goggi, rv. 251177). Va, pertanto, chiarito che la presenza in cantiere del coordinatore per la sicurezza non va intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla posizione di garanzia di cui lo stesso è titolare nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato D.Lgs. n. 528 del 1999, art. 5 (ora cit. D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92), che comprendono anche poteri a contenuto impeditivo in situazioni di pericolo grave ed imminente. Le circostanze di fatto indicate dai giudici di merito, afferenti lo stato del cantiere e le condizioni in cui lavorava l'operaio (l'assenza di parapetti nel ponteggio e la presenza sullo stesso di varchi seguenti allo smontaggio di un elevatore, effettuato circa dieci giorni prima del fatto, utilizzati per il passaggio dei materiali e l'omessa adozione da parte della vittima di cinture di sicurezza), non consentono dubbi sulla palese violazione degli obblighi sopra indicati da parte dell'imputato, che, per sua stessa ammissione assicurava in cantiere una presenza a cadenza settimanale o al più quindicennale.
Cassazione Penale, Sez. 4, 29 aprile 2015, n. 18040 - Caduta letale a seguito della rottura di una trave inidonea a sostenere il peso di una persona e del materiale. Responsabilità di un coordinatore per la sicurezza
Infortunio mortale di un lavoratore precipitato al suolo da un'altezza di circa sei metri a causa del crollo di un piano di lavoro aggiuntivo dell'opera provvisionale in impalcato prospiciente l'immobile su cui lo stesso stazionava, a cagione della rottura di una delle due travi con cui era stata costruita la piattaforma stessa, in quanto non idonea a reggere il peso di una persona e del materiale. Dall'esame delle specifiche prescrizioni - in concreto disattese - del piano di sicurezza e di coordinamento redatto dallo stesso imputato era emersa la dimostrazione della sua responsabilità - alla luce della posizione di garanzia assunta in qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori durante la progettazione e la realizzazione dell'opera - per la violazione delle specifiche prescrizioni cautelari menzionate nel capo di imputazione, conseguenti all'omessa vigilanza nell'esecuzione dei lavori ed all'omessa sorveglianza nel corso della realizzazione dell'opera provvisionale preordinata a consentire lo scarico delle carriole colme di malta cementizia, sollevate dalla gru ai piani superiori del fabbricato in corso di ristrutturazione. Tra i rischi previsti dal piano era espressamente contemplato quello di caduta dall'alto " da scongiurare, per ogni tipo di mansione prevista (carpentiere, muratore,ferraiolo,ecc.) esclusivamente con imbracatura anticaduta " invero non adottata nel caso di specie. Nella costruzione dei ponteggi era altresì vietato dal piano di sicurezza l'impiego di " pannelli per casseformi ", in legno, in realtà risultati utilizzati nel cantiere in luogo delle travi di maggior spessore come tali proporzionate a sostenere pesi di maggiore entità. Ancora detto piano imponeva l'obbligo di sorveglianza dei preposti durante le operazioni di montaggio e di smontaggio del ponteggio, da eseguirsi da personale informato dei rischi specifici e dotato di "adeguati dispositivi di protezione individuale anticaduta ".
Cassazione Penale, Sez. 4, 07 maggio 2015, n. 19131 - Caduta mortale di un operaio apprendista. Responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione
Responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione per infortunio mortale durante i lavori in cantiere: la vittima, operaio apprendista, è precipitato da un'altezza di sette metri dal suolo mentre era intento, in ora serale, priva di luce naturale (l'area di lavoro era stata precariamente illuminata da un faro) e senza esser munito di cintura di sicurezza, a realizzare la pavimentazione di un angusto terrazzino privo dei parapetti. E' pacificamente da tutti ammesso, quindi, che la mortale caduta del lavoratore è stata determinata dalle condizioni in cui lo stesso lavorava, ad alto rischio di precipitazione a causa, in particolare, dell'assenza dei parapetti. Osserva la Corte che il riferimento normativo è rappresentato, quanto ai compiti ed ai doveri del coordinatore per la esecuzione dei lavori, dall'art. 5 del D.Lvo n. 494/96 (sostanzialmente riprodotto nell'art. 92 del T.U. per la sicurezza del lavoro), che ad esso attribuisce compiti specifici e precisi obblighi, che lo indicano quale titolare di un'autonoma posizione di garanzia, che si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica e che ad esso affidano, oltre a compiti organizzativi, di coordinamento e di collegamento tra le diverse imprese nella realizzazione dell'opera, anche doveri di vigilanza. In particolare, per quanto qui interessa, al coordinatore per l'esecuzione dei lavori è attribuito, tra gli altri, il compito di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza e di assicurarne la coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento, di adeguare il piano in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS; ed ancora, di vigilare sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni concernenti i temi della sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro, a garanzia dell'incolumità dei lavoratori. Si tratta, quindi, anche di compiti definiti di "alta vigilanza" che, seppur non implicano necessariamente una continua presenza nel cantiere, devono tuttavia esercitarsi in maniera attenta e scrupolosa e riguardare tutte le lavorazioni in atto, specie quelle che pongono maggiormente a rischio l'incolumità dei lavoratori. A tali compiti, la legge affianca specifici poteri di segnalazione al committente o al responsabile dei lavori di eventuali inosservanze, previa contestazione alle imprese ed ai lavoratori autonomi interessati; poteri che giungono fino alla sospensione delle lavorazioni nel caso di pericolo grave ed imminente. La Corte conclude dunque che l'odierno ricorrente non ha affatto adempiuto ai suoi doveri di controllo e di vigilanza avendo omesso di verificare l'esatto rispetto di elementari norme di sicurezza, palesemente e clamorosamente violate, laddove, non solo mancavano i parapetti delle terrazze degli appartamenti ma anche quelli delle scale; mentre le stesse bocche di lupo erano prive di coperture e costituivano, quindi, delle vere e proprie trappole. Trappole dalle quali non ha trovato scampo l'operaio rimasto ucciso.
Cassazione Penale, Sez. 4, 13 maggio 2015, n. 19758 - Infortunio e responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione. Cd. direttiva cantieri applicabile anche a casi antecedenti al 97?
Infortunio durante i lavori di realizzazione di una palazzina. Responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione che, a propria discolpa, afferma la non applicabilità del d.lgs. n. 494/1996 perché esso si applica ai cantieri nei quali l'incarico di progettazione sia stato affidato a partire dal 24 marzo 1997, data di entrata in vigore dello stesso. Nel caso di specie l'incarico risaliva ad epoca precedente. La Corte afferma di aver già affrontato il tema. In particolare, con la sentenza di questa sezione, n. 18881 del 15.4.2008, si é indicato come scriminante il momento di rilascio dell'incarico della progettazione esecutiva, secondo un'interpretazione fatta propria anche dal Consiglio di Stato (ma non per il versante penalistico, per il quale ha adottato il condivisibile criterio del tipo di attività svolta: parere reso alla Regione Lazio nell'adunanza del 1.7.1998). La coeva sentenza Sez. 4, n. 15247 del 29.2.2008, ha ritenuto che assume rilevanza per l'applicazione della normativa in questione "l'insussistenza di reali impedimenti all'attuazione integrale della cd. direttiva cantieri". Questa Corte ritiene che proprio questo debba essere il criterio da applicare: ai fini dell'applicazione della legge penale quel che rileva - in assenza di norma transitoria - é la persistenza dell'attività disciplinata che consenta l'adeguamento alla previsione legale. Pertanto, quel che va verificato é che gli obblighi, per il loro contenuto, possano o meno essere ancora adempiuti, perché l'attività sulla quale si riflettono non é integralmente compiuta. Il ricorrente si limita ad affermare che la cd. direttiva cantieri non trova applicazione nella specie perché la concessione edilizia era stata rilasciata nel 1990 e che quindi la progettazione era di certo antecedente. Mere asserzioni che non soddisfano né il principio di autosufficienza del ricorso né la congruenza rispetto al principio sopra esposto.
Cassazione Penale, Sez. 4, 22 giugno 2015, n. 26289 - Caduta dal ponteggio per improprio montaggio del giunto ortogonale. Responsabilità del coordinatore per l'esecuzione
Il reato è stato contestato al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione.
Le modalità dell'infortunio sono state così ricostruite nella sentenza impugnata: l'operaio S.E., dipendente della ditta xxxx, subappaltatrice dei lavori di realizzazione delle tramezzature interne, mentre era intento, al secondo piano della palazzina, in corso di costruzione, a raccogliere e buttare le macerie, cadeva dal ponteggio sul piano sottostante, proseguendo nella caduta sino a terra, ad una distanza di 6,5 metri dal suo inizio. La causa della caduta veniva individuata in una realizzazione del ponteggio in violazione della normativa di sicurezza. Il consulente del PM individuava, in particolare, quale causa principale dell'infortunio, la rottura dell'unico giunto con il quale in via anomala era stato fissato uno dei tubi che reggevano l'asse metallica su cui era posizionato il lavoratore. Si sostiene, in particolare, che la sentenza aveva confuso la funzione di "alta vigilanza" demandata dalla normativa di settore al coordinatore per l'esecuzione dei lavori- al quale competerebbe esclusivamente l'obbligo di segnalare al committente le irregolarità riscontrate e non il dovere di prevenire prevedibili imprudenze dei lavoratori- con quella "operativa" spettante al datore di lavoro.La suddetta interpretazione non tiene conto della lettera della legge e dello spirito della riforma, indirizzata a rimarcare ancora più incisamente la posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione dei lavori ( ora prevista dall'art.92 d.Lvo 9 aprile 2008, n. 81). Questa figura professionale, per la prima volta organicamente disciplinata dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (attuazione della direttiva 92/57 Cee concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), è definita dall' art. 2, del d.Lvo 494/1996, come "soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'art. 5". In base all'originaria formulazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, al coordinatore per l'esecuzione dei lavori (nominato dal committente o dal responsabile dei lavori: art. 3, comma 4) era attribuito l'obbligo di "assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli articoli 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro" (lett. a) e quello di "adeguare i piani di cui agli articoli 12 e 13 in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute" (lett. b). I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal d. Lvo 19 novembre 1999, n. 528, applicabile ratione temporis al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita disciplina contenuta nell'art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l'esecuzione dei lavori i compiti di "verificare" (e non più "assicurare") l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 (lett. a) e quello di "adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute".Il coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato art. 5 d.Lvo 1999/528.Tale posizione di garanzia gli impone, nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di adeguare il piano di sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, di vigilare sul rispetto dello stesso e di sospendere le singole lavorazioni in caso di pericolo grave ed imminente.In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che collaborano nella realizzazione dell'opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior garanzia dell'incolumità dei lavoratori ( v. in tal senso Sezione IV, 14 giugno 2011, n. 32142, Goggi, rv. 251177).Va, pertanto, chiarito che la presenza in cantiere del coordinatore per la sicurezza non va intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla posizione di garanzia di cui lo stesso è titolare nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato art. 5 d.Lvo n. del 1999 (ora art. 92 del citato d.lvo 81/2008), che comprendono anche poteri a contenuto impedivo in situazioni di pericolo grave ed imminente.Le circostanze di fatto indicate dai giudici di merito, afferenti la situazione di rischio presente nel cantiere, che non riguardava soltanto quello specifico dell'attività della impresa subappaltatrice e le modalità dell'infortunio, la cui causa principale è stata individuata nella rottura del giunto ortagonale, non consentono dubbi sulla palese violazione dell'obbligo da parte dell'imputato di verificare l'applicazione del piano di sicurezza.Ciò emerge con evidenza dalla sentenza impugnata laddove il giudicante sottolinea che il giunto ortagonale era stato montato in maniera impropria e che se il tubo fosse stato montato correttamente con almeno due giunti sicuramente avrebbe resistito anche ad una sollecitazione anomala.In questo quadro probatorio,neanche il fatto che il B.L. sia subentrato ad altro coordinatore per l'esecuzione dei lavori assume rilievo scriminante, essendo evidente, in ogni caso, che il compito di vigilare sul rispetto del piano di sicurezza da parte dei lavoratori, gravante sul coordinatore per la sicurezza, non può e non deve limitarsi ad una verifica superficiale, che non tenga conto delle molteplici ed indefinite situazioni di pericolo grave derivanti nei cantieri dalla violazione sistematica della normativa antinfortunistica.Né l'adempimento di tale obbligo poteva ritenersi assolto con il divieto impartito ai lavoratori di salire sul ponteggio, ove si consideri il principio pacifico secondo cui l'eventuale colpa del lavoratore concorrente con l'addebito colposo di cui si è detto, contestato all'imputato non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza, come nel caso in esame, il coordinatore per la sicurezza, che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità" del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento: dovendosi, al riguardo, considerare abnorme il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; con la precisazione, però, che non può avere queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli come nel caso di specie non può essere messo in discussione (cfr. da ultimo, Sezione IV, 28 aprile 2011, n. 23292, Millo ed altri, rv. 250710).Sotto tale ultimo profilo, va evidenziato che i giudici di merito hanno accertato l'esistenza nel cantiere della consuetudine di gettare i materiali di scarto dall'alto, in particolare quelli di più piccole dimensioni, con ciò dovendosi escludere ogni profilo di imprevedibilità alla condotta del lavoratore infortunatosi.In coerenza a tale principio ed alla luce della ricostruzione del fatto sopra indicata, la Corte di merito ha correttamente escluso la sussistenza di una condotta anomala del dipendente tale da rendere inesigibile la vigilanza del coordinatore per l'esecuzione.
A fronte di un apparato argomentativo esente da violazioni di legge e logicamente sviluppato, il dissenso "di merito" , espresso in ricorso, fondato su una ricostruzione della condotta del lavoratore al di fuori della di rischio definito dalla lavorazione in corso. Basta ricordare- così fornendo risposta alla censura formulata con il terzo motivo- che, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al titolare della posizione di garanzia invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso titolare della posizione di garanzia versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo, ciò che qui è indiscutibile (cfr. Sezione IV, 25 marzo 2011, D'Acquisto).Le censure sull'affermata esclusione dell'abnormità della condotta del lavoratore sono, pertanto, infondate.Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cassazione Penale, Sez. 4, 02 luglio 2015, n. 28132 - Caduta mortale di un operaio e responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione. Nessun comportamento abnorme della vittima.
Cassazione Penale, Sez. 4, 16 luglio 2015, n. 31015 - Gancio della gru malfunzionante e infortunio mortale: ruolo di un coordinatore per l'esecuzione
Cassazione Penale, Sez. 4, 17 luglio 2015, n. 31223 - Infortunio mortale in galleria durante la manovra di una macchina escavatrice. Posizioni di garanzia e responsabilità
Cassazione Penale, Sez. 4, 31 luglio 2015, n. 33779 - Attività di movimentazione di un copri tombino di cemento e interferenze tra imprese: necessità di aggiornare il PSC
Il datore di lavoro committente, oltre che alla valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 3 d.lgs. 494 del 1996 vigente all'epoca dei fatti (ora art. 17 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), è tenuto, nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o ad un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi; nel caso in cui i lavori contemplino l'opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, egli è tenuto a nominare il coordinatore per la progettazione e l'esecuzione, il quale, ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. 494 del 1996 (ora artt. 91 e 92 del D.Lgs. 81), deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale (ex plurimis, cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 14167 del 12/03/2015, rv. 263150). Nel caso di specie non vi è dubbio che presso il cantiere lavorassero una pluralità di imprese, anche con contratti in subappalto. Pertanto era doveroso, così come rilevato dal giudice di merito, prevedere nel piano di coordinamento i rischi connessi alle interferenze, come ad esempio l'uso comune di strumenti di lavoro. Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia, che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, con compiti di "alta vigilanza". Tra tali compiti, oltre al controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori, vi è anche quella della verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento e di adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute. Pertanto anche a ritenere veritiera la circostanza allegata dal B.D., costituisce certamente una condotta negligente quella di non avere provveduto all'aggiornamento del Piano in presenza di un mutamento della situazione di fatto del cantiere.
Cassazione Penale, Sez. 4, 16 settembre 2015, n. 37595 - Lavoratore travolto dalla frana e responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione
Cassazione Penale, Sez. 3, 19 ottobre 2015, n. 41820 - Ruolo di vigilanza "alta" per il coordinatore per l'esecuzione
Il coordinatore per l'esecuzione è tenuto a verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel Piano di Sicurezza e di Coordinamento (P.S.C.) e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; a verificare l'idoneità del Piano Operativo di Sicurezza (P.O.S.), assicurandone la coerenza con il P.S.C., che deve provvedere ad adeguare in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere; a verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi P.O.S.; ad organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione; a verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere; a segnalare, al committente o al responsabile dei lavori, le inosservanze alle disposizioni degli artt. 94, 95 e 96, e art. 97, comma 1, e alle prescrizioni dei P.S.C., proponendo la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione dei contratto in caso di inosservanza; a dare comunicazione di eventuali inadempienze alla Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competenti; a sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.
In forza di quanto precede, risulta quindi evidente che - come affermato dal ricorrente - il coordinatore per l'esecuzione riveste un ruolo di vigilanza "alta", che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale e stringente vigilanza "momento per momento", demandata alle figure operative, ossia al datore di lavoro, al dirigente, al preposto.
Tribunale di Milano, Ufficio del GIP, 23 gennaio 2014, n. 27 - Caduta dal ponteggio: assoluzione del coordinatore per la sicurezza
...Atteso l'indicato ruolo di collaboratore del committente cha caratterizza la figura del coordinatore per l'esecuzione, "la lettura della specifica sfera di gestione del rischio demandatagli discende per un verso dalla funzione di generale alta vigilanza che la legge demanda al committente; e per l'altro dalla disciplina di cui al più volte evocato D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5. Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è "alta" e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri "tipici", e di quelle afferenti all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori. Appare dunque chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).
Tribunale di Como, Sez. Pen., 26 febbraio 2014, n. 270 - Crollo di un balcone e assoluzione di un coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione
Tribunale di Sondrio, Sez. Pen., 18 marzo 2014, n. 102 - Infortunio sul lavoro e assoluzione di un coordinatore per l'esecuzione
Cassazione Penale, Sez. 4, 05 maggio 2014, n. 18436 - Disarmo del solaio e caduta mortale: responsabilità datoriale e esclusione di responsabilità del coordinatore per la sicurezza
Fatto
1. Con sentenza del 18/6/2012 la Corte d'Appello di Lecce confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva ritenuto A. G., nella qualità di amministratore unico della AA. Ap. s.r.l., responsabile del reato di cui all'art. 589 c.p., commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, e lo condannava alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, parenti della vittima. In fatto era accaduto che il (OMISSIS) R.R.C., operaio dipendente della AA. Ap. s.r.l., mentre era intento a lavorare presso un cantiere edile sito in (OMISSIS), cadeva dall'alto e decedeva il giorno successivo per le gravissime lesioni riportate. Gli accadimenti erano ricostruiti dai giudici di merito in modo difforme rispetto alle testimonianze addotte dal datore di lavoro. In particolare, il Tribunale giungeva a individuare in capo all'imputato profili di specifica violazione delle regole cautelari del settore e, in particolare, del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 16, art. 24, comma 1, e art. 10, sulla scorta delle dichiarazioni rese da una teste avente l'abitazione confinante con il cantiere, delle dichiarazioni dei tecnici Spesal, delle notazioni tecniche dei consulenti e dei periti. Specificamente, a seguito di ricostruzione fondata sulle risultanze acquisite, i giudici del merito accertavano che la caduta del lavoratore era avvenuta in occasione delle operazioni di disarmo del solaio del primo piano dell'immobile, le quali erano in corso di esecuzione già da qualche settimana prima del fatto, in corrispondenza di un punto dell'impalcato sfornito di protezioni e corrispondente al lato del fabbricato prospiciente non già con la strada, come riferito nell'immediatezza dal figlio dell'imputato, ma con l'abitazione confinante con il fabbricato. Accertavano, altresì, che le barriere presenti al momento del sopralluogo lungo il perimetro dell'impalcato medesimo erano state realizzate nelle ore intercorrenti tra il fatto e l'ispezione degli organi preposti. Rilevavano che l'affermazione della responsabilità dell'imputato poggiava un giusto equilibrio tra l'obbligo di informazione preventiva e l'obbligo di sorveglianza sui dipendenti, entrambi gravanti sul datore di lavoro. Quest'ultimo, infatti, era tenuto non solo ad adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche a curare l'effettiva predisposizione di queste e il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte e l'utilizzo in termini di sicurezza degli strumenti di lavoro e dello stesso processo di lavorazione.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato.
2.1. Deduce, con il primo motivo, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 546 c.p.p.. Si duole della mancata risposta alle prospettazioni di parte circa la portata decisiva delle risultanze probatorie atte a escludere che la vittima quel giorno stesse effettuando operazioni di disarmo delle impalcature.
2.2. Con il secondo motivo deduce manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 40 c.p., comma 2, con riferimento al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5, e art. 2087 c.c.. Rileva che i giudici del merito avevano accolto una lettura troppo rigida e ideologica dell'obbligo datoriale di sicurezza, ravvisando una pretesa di vigilanza assoluta sul contegno del lavoratore ed escludendo dal determinismo causale ogni valutazione dell'incidenza comportamentale della vittima. In tal modo erano giunti all'applicazione di un criterio di responsabilità oggettiva in contrasto con il principio della responsabilità personale.
2.3. Deduce, ancora, con il terzo motivo, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 41 c.p.. Rileva che la Corte di merito aveva esaminato assai sbrigativamente l'analisi del profilo causale del contegno dell'operaio, nel quale poteva ravvisarsi un'ipotesi di rischio elettivo.
2.4. Con l'ultimo motivo, infine, deduce manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 4 e 5, osservando che la Corte aveva errato nella interpretazione delle norme relative ai compiti attribuiti al coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori, omettendo di rilevare le anomalie della condotta dell'arch. M., che tale qualità rivestiva. In tal modo reputava unico titolare della posizione di garanzia il datore di lavoro, trascurando di considerare che se più sono i garanti, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di garanzia.
Diritto
1. In ordine al primo motivo di ricorso, va rilevato che la doglianza mira a proporre, mediante il rilievo della mancata considerazione delle risultanze probatorie a proprio favore, una lettura alternativa delle ricostruzioni fattuali compiute dai giudici di merito, atta a interpretare come riferibile a colpa esclusiva del lavoratore e non a violazione di obblighi prevenzionali le contestazioni mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata. Essa si risolve, in sostanza, in una censura concernente apprezzamenti di merito, tendente a una diversa valutazione delle risultanze processuali. In proposito, va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte anche a Sezioni Unite (v. Cass. S.U. 24-11-1999-Spina; 31-5-2000- Jakani; 24-9-2003 - Petrella), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura dei dati di fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al Giudice del merito, nonchè dell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. D'altro canto i giudici di merito (di primo e secondo grado) hanno fornito una corretta ricomposizione del fatto, fondata su un'adeguata acquisizione ed interpretazione degli elementi probatori disponibili ed un'esaustiva analisi complessiva di essi sulla base di canoni logici e coerenti.
Quanto alla omessa considerazione di elementi emergenti dal processo favorevoli alla tesi dell'imputato, va richiamato il principio affermato più volte nella giurisprudenza di legittimità in forza del quale "nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Sez. 6^, Sentenza n. 49970 del 19/10/2012 Rv. 254107).
2. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente stante l'intima connessione. Gli stessi risultano entrambi infondati, ove si rilevi che l'obbligo datoriale violato è stato ravvisato in primo luogo nella omessa predisposizione delle necessarie misure di sicurezza, prime tra tutte le opere provvisionali previste per gli impalcati e i ponteggi, essendo stato acclarato che quelle esistenti al momento del sopralluogo erano state realizzate dopo l'evento. Si tratta di violazioni rispetto alle quali non risulta pertinente la tesi difensiva fondata sulla censura di un'affermata pretesa di vigilanza assoluta sul contegno del lavoratore, tanto più ove si consideri che alcuno specifico profilo causale del contegno della vittima è stato addotto, neppure in termini di mera allegazione, nel corso delle fasi del processo di merito, come sottolineato a pg. 5 della sentenza d'appello, con affermazione non specificamente censurata.
3. Quanto all'ultimo motivo di ricorso, lo stesso palesa la mancanza di interesse del proponente, posto che l'eventuale sussistenza di profili di colpa gravanti su altro soggetto destinatario di obblighi prevenzionali non varrebbe a escludere quelli specificamente affermati e gravanti sulla componente datoriale. Può al riguardo aggiungersi che nella specie la rilevanza di eventuali manchevolezze attribuibili al coordinatore per la sicurezza è stata esclusa in radice, in ragione dell'accertata ripresa dei lavori dopo la sospensione dei medesimi senza preventiva comunicazione all'architetto che tale ruolo rivestiva, con conseguente carenza in concreto di una posizione di garanzia in capo alla menzionata figura prevenzionale.
Per tutte le ragioni indicate il ricorso va respinto. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute in questo processo di cassazione dalle parti civili, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in Euro 3.000,00 per R.R. G. e R.R.S.L. e in Euro 3.000,00 per R.R.A. e R.G.G., oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2014
Cassazione Penale, Sez. 4, 05 maggio 2014, n. 18515 - Infortunio mortale e responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione: non sussiste
Cassazione Penale, Sez. 4, 03 marzo 2016, n. 8883 - Caduta dal tetto del capannone. Assoluzione di un datore di lavoro e di un RSPP: tutte le cautele possibili da assumersi ex ante erano state assunte
Il lavoratore infortunato, "che peraltro era un soggetto particolarmente esperto di sicurezza sul lavoro essendo stato egli stesso nominato responsabile della sicurezza dei lavoratori della sua azienda, decide, forse per fare più in fretta, o comunque incautamente, di salire sul tetto per meglio posizionare i fili, percorre il tratto ricoperto da sottili lastre di eternit, che inevitabilmente si sfondano, e precipita al suolo.
Ebbene, che tipo di rimprovero può rivolgersi ad un datore di lavoro o a un responsabile aziendale per la sicurezza che ha dotato il dipendente, esperto e formato in materia di sicurezza del lavoro, di tutti i presidi antinfortunistici e della strumentazione necessaria per effettuare il lavoro in sicurezza, analogo a quello che egli era chiamato a compiere da cinque anni, rispetto a siffatto comportamento? Hanno potuto incolpevolmente il datore di lavoro e il responsabile per la sicurezza della (omissis) fare affidamento sul fatto che un soggetto così esperto non ponesse in essere il comportamento che ha cagionato l'incidente?
Le risposte da dare a simili quesiti, ad avviso del Collegio, sono che nessun rimprovero può muoversi ad entrambi gli odierni ricorrenti in un caso siffatto, in quanto gli stessi si sono legittimamente fidati della professionalità del soggetto cui aveva affidato il lavoro da compiersi.
9. Questa Corte Suprema ha reiteratamente affermato - e si ritiene di dover ribadire- che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis questa sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321).
Tuttavia, quello che ci occupa è proprio un caso in cui tutte le cautele possibili da assumersi ex ante erano state assunte."
Fatto
1. La Corte di Appello di Roma, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti (omissis) e (omissis) , con sentenza del 17.4.2014, in riforma della sentenza del Tribunale di Rieti sezione distaccata di Poggio Mirteto, emessa in data 18.3.2010, appellata dalla parte civile (omissis) , li condannava, in solido, al risarcimento del danno in favore della parte civile, rimettendo per la liquidazione le parti al competente giudice civile.
Il G.M. del Tribunale di Rieti sezione distaccata di Poggio Mirteto, aveva assolto (omissis) g (omissis) , perché il fatto non sussiste, dai seguenti reati:
a) del reato di cui agli artt. 113 e 590 commi 1 e 3 c.p., poiché, in cooperazione colposa tra loro, (omissis) nella qualità di amministratore unico della ditta " ( omissis) s.r.l" con sede legale in (Omissis), (omissis) di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori della predetta società, per colpe consistita in imprudenza e violazione, della normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in particolare nell'avere, nelle rispettive qualità sopra indicate, omesso di predisporre i necessari apprestamenti di sicurezza prima di procedere all'utilizzo del piano di copertura come piano di lavoro per l'esecuzione dei lavori di realizzazione di linee elettriche di alimentazione per la successiva posa in opera di fari all'Interno dei locali della ditta " (omissis) s.r.l.", cagionavano a (omissis) , dipendente della " (omissis) s.r.l." con la qualifica di elettricista manutentore, il quale, nell'effettuare i lavori sopra descritti, procedeva al pedinamento dell'estradosso di lastre in fibrocemento, poste a copertura di un edificio industriale, a causa del cedimento di un elemento precipitava al suolo da un'altezza di circa 6 mt. lesioni personali clinicamente refertate in trauma cranico, toracico e degli arti, dalle quali derivava una malattia della durata superiore a giorni quaranta. Reato commesso in (omissis)
b) del reato di cui agli 113 c.p., 70 e 77 lett. b) D.P.R. 164/56, poiché, in cooperazione colposa tra loro, nella qualità indicata nel superiore capo a) di imputazione, omettevano di predisporre i necessari apprestamenti di sicurezza prima di procedere all'utilizzo del piano di copertura come piano di lavoro per l'esecuzione di attività finalizzata alla realizzazione di linee elettriche di alimentazione per la successiva posa di fari. Reato accertato in (omissis) il (omissis) .
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, con unico atto, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (omissis) e (omissis), deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Mancanza parziale, contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza, in relazione: A) all'omessa valutazione di controprove dichiarative decisive assunte nel corso dell'Istruttoria dibattimentale (mancanza parziale); B) al parziale travisamento del fatto (contraddittorietà); C) alle incongruenze logiche ed all'incoerenza delle conclusioni rispetto ai dati probatori processuali raccolti e disponibili (illogicità); D) alla violazione dell'articolo 192, 1° comma, del c.p.p., non essendo stato dato conto del criterio adottato nella valutazione complessiva delle prove testimoniali assunte, ma non vagliate, nell'istruttoria dibattimentale;
La sentenza impugnata avrebbe completamente disatteso -secondo la tesi prospettata in ricorso- tutte le circostanze emerse nell'approfondita istruttoria dibattimentale compiuta in primo grado.
Da tale attività istruttoria sarebbe emerso che la causa dell'infortunio è da imputare esclusivamente al comportamento negligente, avventato, imprudente e abnorme del lavoratore, vittima dell'infortunio.
La corte di appello, invece, avrebbe completamente ribaltato le risultanze oggettive del processo, con una motivazione parzialmente mancante, illogica e contraddittoria. In alcuni casi sarebbero state operate delle incontrovertibili e gravi distorsioni del contenuto probatorio, in altri sarebbero stati accantonati fatti oggettivi e pacifici. Vi sarebbe stato un evidente travisamento dei fatti e delle prove.
I ricorrenti analizzano gli addebiti contestati per confutarne il fondamento e dimostrare l'avvenuto travisamento.
Si sottolinea, in particolare, che la sentenza avrebbe contestato l'estrema superficialità del comportamento degli imputati, che affidavano il lavoro al (omissis) (omissis) senza effettuare alcun sopralluogo. Dall'istruttoria dibattimentale, invece, sarebbe emerso esattamente il contrario. La sentenza di primo grado, infatti, a pagina 6, dà conto della presenza frequente del (omissis) sui luoghi.
I ricorrenti riportano le dichiarazioni rese dagli imputati, che riferivano di avere visionato o comunque di conoscere bene i luoghi. Ed evidenziano come da nessuna dichiarazione o testimonianza sarebbe emerso che gli imputati non avessero effettuato un sopralluogo e come la stessa parte lesa abbia dichiarato di non sapere se gli imputati avessero effettuato un sopralluogo.
Pertanto, la circostanza che gli imputati non avessero effettuato alcun sopralluogo sarebbe stata recepita in modo acritico, senza il necessario vaglio di fondatezza e riscontro, da quanto sostenuto nell'atto di appello della parte civile.
Anche l'affermazione relativa all'estrema superficialità del comportamento del (omissis) e del (omissis), che non avrebbero impartito le necessarie disposizioni e non avrebbero disposto le necessarie misure di sicurezza, sarebbe illogica, contraddittoria e frutto di un evidente travisamento.
I ricorrenti precisano di non chiedere a questa Corte di verificare le risultanze probatorie al fine di verificare la sussistenza di una diversa ricostruzione dei fatti, ma di verificarle per accertare il rispetto dell'obbligo di corretta motivazione, nonché i criteri adottati per la valutazione complessiva delle prove acquisite.
Sarebbe necessario, ad avviso degli stessi, ripercorrere il compendio storico-fattuale al fine di evidenziare l'effettivo comportamento degli imputati nella vicenda.
Il comportamento degli imputati nella vicenda sarebbe stato completamente diverso da quello descritto nella sentenza di appello.
I ricorrenti descrivono compiutamente le vicende processuali, evidenziando l'avvenuta adozione di tutte le necessarie precauzioni di sicurezza e come nessuna mancanza o deficienza nei mezzi apprestati possa essere oggettivamente addebitata, a meno di non voler accollare l'evento agli stessi a titolo di responsabilità automatica ed oggettiva. Ed ancora, pongono l'accento su come non sarebbe mai emersa nel corso del procedimento la circostanza della conoscenza da parte degli imputati della volontà del ( omissis) di effettuare il lavoro mediante pedinamento del tetto in eternit.
Il comportamento degli imputati sarebbe stato corretto, adeguato e rispettoso delle norme antiinfortunistiche, immune da qualsiasi profilo di colpa.
La motivazione della sentenza impugnata avrebbe ritenuto accertate le circostanze che i lavori eseguiti da ( omissis ), dovessero essere svolti sul tetto e che la scelta dei mezzi e delle modalità di esecuzione fossero state rimesse alla scelta del dipendente che se ne assumeva la responsabilità spettante al datore di lavoro.
Sarebbe addirittura stato messo in dubbio quanto dichiarato dal tecnico del servizio di prevenzione della ASL, che dichiarava che il lavoro poteva e doveva essere svolto a bordo dell'elevatore Manitou e che il pedinamento del tetto era inutile per il tipo di lavoro da eseguire.
La sentenza avrebbe omesso di valutare, pertanto, la controprova dichiarativa a favore degli imputati, sulla scorta di un palese e oggettivo travisamento dei fatti appurati e delle prove assunte.
Tale omessa valutazione si baserebbe su due circostanze errate: che (omissis) (omissis) scese dall'elevatore e camminò sul tetto per mostrare come collocare i cavi e che le fotografie in atti testimoniassero uno stato dei luoghi che richiedeva un camminamento sul tetto.
Viene evidenziato che, tra le foto acquisite, non ve ne sarebbe nessuna che mostri il tetto dal di sopra.
Tutte le foto sarebbero state riprese dall'interno del capannone.
I ricorrenti riportano le testimonianze assunte nel giudizio di primo grado e, in relazione alla testimonianza del (omissis) i ricorrenti ne evidenziano la mancanza di credibilità, in quanto contraddetta dalle altre deposizioni testimoniali. Danno poi conto delle deposizioni testimoniali del maresciallo (omissis) , di (omissis ) , di (omissis) e di (omissis) ponendo in evidenza le risultanze delle stesse che andrebbero in contrario avviso rispetto all'operata affermazione di responsabilità.
b. Inosservanza - in relazione al profilo della mancata applicazione - della legge penale, nella fattispecie del combinato disposto degli articoli 40 e 41, secondo comma, del codice penale, sotto il profilo del mancato riconoscimento dell'insussistenza dell'elemento sia oggettivo che soggettivo del reato di cooperazione in lesioni personali colpose, alla luce dell'interruzione del nesso di causalità tra la condotta dei due imputati e l'evento verificatosi dovuta alla presenza di una condotta abnorme posta in essere dalla persona offesa.
La motivazione della sentenza di secondo grado avrebbe sottolineato che il comportamento tenuto dal lavoratore non fosse connotato da elementi di abnormità.
La sentenza di primo grado, la richiesta di assoluzione avanzata dal Pubblico Ministero del primo giudizio e il mancato sostegno del Procuratore Generale all'appello farebbero ritenere, invece, che nella fattispecie fosse oggettivamente sussistente un comportamento del tutto imprevedibile, eccezionale, avventato ed abnorme da parte del lavoratore.
Dall'Istruttoria dibattimentale sarebbero emerse l'assoluta correttezza del comportamento degli imputati e la condotta imprudente della parte lesa.
Gli imputati avevano scelto di far eseguire il lavoro a bordo dell'elevatore, mettendo a disposizione tutte le necessarie attrezzature ed impartendo le direttive organizzative e le precise modalità con cui svolgere il lavoro.
La parte lesa, inoltre, non avrebbe mai manifestato alcuna remora sull'esistenza di potenziali pericoli o su difficoltà ad eseguire il lavoro.
L'unica causa dell'incidente non può che considerarsi il comportamento tenuto dal (omissis), del tutto imprevedibile e non ipotizzabile.
Inoltre il lavoratore avrebbe violato gli obblighi impostigli, tenendo una condotta abnorme che avrebbe costituito una causa sopravvenute da sola sufficiente a determinare l'evento.
Chiedono, pertanto: a. in via principale: annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata - come sopra indicata e specificata - esaurendo il thema decidendum, ai sensi dell'art. 620, 1° comma, lett. 1), del c.p.p., in ossequio ai principi di economia processuale e di ragionevole durata del, processo, qualora questa Corte Suprema ritenga la superfluità del giudizio di rinvio dovuta alla circostanza che nella sentenza impugnata emergono elementi sufficienti a ritenere il fatto non sussistente e/o gli imputati non responsabili; b. in via subordinata, annullarsi con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma la sentenza impugnata al fine di consentire un nuovo giudizio ed una nuova valutazione sul merito dei fatti oggetto del presente procedimento.
Diritto
1. Le doglianze sopra illustrate sono fondate, per i motivi che si andranno ad evidenziare, e pertanto la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, con assoluzione degli odierni imputati perché il fatto non costituisce reato, emergendo palese l'insussistenza in capo agli stessi dell'elemento psicologico del contestato reato.
2. Va evidenziato, in primo luogo, che la sentenza di appello, che, seppure per i soli effetti civili, essendo nel frattempo maturata la prescrizione del reato, afferma la responsabilità degli odierni ricorrenti, non pare ad avviso del Collegio confrontarsi in maniera logica e congrua con le diverse conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado.
Com'è stato analiticamente ribadito in un recente, condivisibile, arresto di questa Corte (sez. 2, n. 677 del 10.10.2014 dep. il 12.1.2015, Di Vincenzo, rv. 261556) la radicale riforma, in appello, di una sentenza di assoluzione non può essere basata su valutazioni semplicemente diverse dello stesso compendio probatorio, qualificate da pari o persino minore razionalità e plausibilità rispetto a quelle sviluppate dalla sentenza di primo grado, ma deve fondarsi su elementi dotati di effettiva e scardinante efficacia persuasiva, in grado di vanificare ogni ragionevole dubbio immanente nella delineata situazione di conflitto valutativo delle prove.
Va ricordato, infatti, che il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre all'assoluzione deve pervenirsi in tutti quei casi in cui vi sia la semplice "non certezza" - e, dunque, anche il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza (così sez. 6, n. 20656 del 22.11.2011, dep. il 28.5. 2012, De Gennaro ed altro, rv. 252627).
Nello specifico, il principio in ragione del quale la sentenza di condanna deve essere pronunciata soltanto "se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio", formalmente introdotto nell'art. 533 cod. proc. pen., comma 1, dalla L. n. 46 del 2006, "presuppone comunque che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l'eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello sullo stesso materiale probatorio già acquisito in primo grado e ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, sia sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, neppure nel senso di lasciare in piedi residui ragionevoli dubbi sull'affermazione di colpevolezza" (sez. 6, n. 40159 del 3.11.2011, Galante, rv. 251066, e n. 4996 del 26.10.2011, dep. il 9.2.2012, Abbate ed altro, rv 251782).
3. Perché possa addivenirsi alla riforma in appello di una assoluzione deliberata in primo grado non è, pertanto, sufficiente prospettare una ricostruzione dei fatti connotata da uguale plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, bensì è necessario che la ricostruzione in ipotesi destinata a legittimare - in riforma della precedente assoluzione - la sentenza di condanna sia dotata di "una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto. La condanna, invero, presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza" (così la citata sez. 2 n. 677/2015).
Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, la Corte territoriale effettivamente -come lamentano i ricorrenti- non pare fare buon governo degli stessi.
Non si spiega, ad esempio, il giudizio per cui, dato per pacifico da entrambi i giudici di merito, che il posizionamento dei faretti potesse essere operato utilizzando l'elevatore Manitou che il datore di lavoro dell'operaio gli aveva messo a disposizione, la Corte territoriale sia giunta alla diversa conclusione per il corretto posizionamento dei relativi cavi, giudicando alquanto apoditticamente le risultanze della testimonianza di un soggetto altamente qualificato in materia e senz'altro terzo rispetto ai fatti, qual è il tecnico del Dipartimento di Prevenzione e del Servizio di Protezione e Sicurezza degli Ambienti del Lavoro della ASL RMF (omissis) , "un'opinione che appare contrastata, oltre che dallo stato del luoghi evidenziato dalle fotografie allegate agli atti, anche dalla deposizione del S." (così a pag. 5 del provvedimento impugnato).
4. Siamo di fronte, ad avviso del Collegio, ad un'ipotesi di travisamento della prova, certamente sindacabile in questa sede.
Va rilevato, infatti, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L n. 46 del 2006, che la novella in questione non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento.
Permane, nell'attuale sistema, perciò, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr., ex multis, sez. 6, n. 25255 del 14 febbraio 2012, rv. 253099).
Tuttavia, la mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. "travisamento della prova" (consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato (cfr. sez. 2, n. 677 del 10.10.2014 dep. il 12/01/2015., Di Vincenzo, rv. 261556)
Ebbene, è proprio quanto accaduto nel caso che ci occupa.
5. La dinamica dell'incidente è incontestata.
Il giorno dei fatti il ( omissis) dipendente della ( omissis) da 5 anni con la qualifica di elettricista manutentore, si è recato su incarico della propria azienda presso un capannone della ( omissis) ove doveva, all'esterno, montare dei faretti; qui lo stesso era salito, a mezzo di un elevatore oleodinamico (trattasi del cestello con braccio meccanico che porta gli operai nelle parti alte ove si deve operare) messogli a disposizione dalla Omissis, sopra il tetto; una volta sul tetto il (omissis) ha camminato sopra delle lastre di fibrocemento ivi presenti - poste ad unire i cordoli di cemento che costituiscono l'ossatura del tetto - che cedendo ne hanno provocato la sua caduta, da un'altezza di circa 6/7 metri, che ha prodotto le gravi lesioni indicate nel capo a) di imputazione.
In particolare, dalle dichiarazioni rese dal ( omissis) ed anche da (omissis) responsabile per la sicurezza della (omissis) , è emerso che il (omissis) (omissis) si era recato presso la omissis su incarico del suo datore di lavoro omissis, amministratore unico della (omissis) in quanto doveva fare un sopralluogo in relazione a dei lavori di manutenzione ed installazioni di fari sul capannone ivi presente.
In questa occasione, il (omissis) ed il (omissis) erano saliti sull'elevatore per effettuare una ricognizione sui lavori che dovevano essere realizzati.
Al riguardo, come rilevano i giudici del merito, vi è una differenza tra il racconto del (omissis) e quello del omissis in quanto, a detta del primo, i due salivano anche sul tetto passando sopra quelle lastre che il giorno dopo sarebbero cedute provocando l'infortunio per cui è processo; diversamente a detta del omissis lui saliva sul tetto per altri motivi (doveva controllare i condizionatori), ma senza camminare sulle lastre restando nei cordoli di cemento.
6. Correttamente, dunque, il giudice di primo grado aveva individuato come punto centrale del thema decidendi, nelle diverse versioni ascoltate dai testi, quello di capire la necessità o meno per il (omissis) di salire su quel tetto. E di comprendere se avesse detto il vero l'elettricista, che poi era caduto sfondando il tetto, quando aveva riferito che nel sopralluogo del giorno prima fatto con il omissis si era capito che era necessario fare i lavori salendo sul tetto e che di questa esigenza ne aveva parlato con (omissis) , altro odierno ricorrente, che era il responsabile del servizio prevenzione e protezione dei lavoratori della (omissis) (omissis). il omissis aveva aggiunto, poi, che l’elevatore doveva servire solo a portarlo sul tetto dal quale avrebbe dovuto svolgere tutti i lavori.
Ebbene, il giudice di primo grado, con motivazione assolutamente logica, aveva, però, rilevato che tale ricostruzione dei fatti non risultava dalle sole dichiarazioni della parte lesa, mentre ad una soluzione diversa portavano le altre testimonianze e la logica dei luoghi.
Innanzitutto, veniva posto il rilievo come il omissis avesse indicato che, dovendo i lavori avere ad oggetto l'installazione di faretti da apporre nella parte frontale - perimetrica esterna - del capannone, non era possibile svolgere gli stessi dal tetto ma era necessario, come verificato anche con il omissis il giorno 7, usare unicamente l'elevatore. Anche la presa della corrente alla quale collegare questi faretti era poi presente sempre in questa parte esterna del capannone, per cui era assolutamente verosimile che tutto il lavoro potesse e dovesse essere effettuato a mezzo dell'elevatore messo a disposizione, a mezzo anche di un operatore, dalla omissis.
Per quanto riguarda i fili - differentemente da quanto dice la Corte di Appello- il giudice di primo grado ricorda come (omissis) avesse ricordato che si era stabilito che gli stessi sarebbero stati posati sul tetto dall'elevatore dietro il muretto presente nella parte periferica del capannone.
In ordine alla possibilità che i fili potessero essere collocati dall'elevatore e senza salire sul tetto - ricordava ancora il giudice di primo grado - si era espresso anche l'ispettore della ASL, (omissis) intervenuto sul posto nella immediatezza dei fatti, che aveva indicato come l'impianto interessasse la parte perimetrica del capannone e come, per la sua posa in opera, fosse necessario iniziare dalla parte bassa dell'edificio, per poi salire in quota. Aveva poi aggiunto che per svolgere quei lavori era necessario e sufficiente usare l'elevatore oleodinamico con piattaforma che, in effetti, era presente sul posto. E che ciò fosse possibile il omissis aveva anche dichiarato di avere provato, con esito positivo.
Il giudice di primo grado aveva anche ricordato come l'ispettore della ASL avesse precisato specificamente che anche la canalizzazione dei fili poteva avvenire dall'elevatore senza necessità di salire sul tetto. Inoltre, la corrente doveva essere presa da una parte esterna del fabbricato, sempre accessibile a mezzo dell'elevatore messo a disposizione dalla omissis che rispettava gli standard di sicurezza anche in relazione al lavoro da effettuare.
Si tratta, dunque, di qualcosa che va ben oltre quelle che la Corte territoriale ha liquidato come "un'opinione".
Pare dunque, effettivamente omessa o comunque travisata la valutazione di una prima prova decisiva: la possibilità che tutte le operazioni fossero svolte dall'elevatore Manitou di cui l'operaio era dotato e che tale modalità era quella concordata con omissis.
7. Altro elemento che non pare rispondere alle risultanze processuali è quello che attiene alla contestazione agli odierni ricorrenti, nelle rispettive qualità, di non avere effettuato alcun sopralluogo sul posto dove il (omissis) avrebbe dovuto svolgere il suo lavoro, cioè nel capannone all'interno della omissis.
I giudici di merito danno atto di come sia emerso che la sera, dopo avere operato egli stesso il sopralluogo con (omissis), il (omissis) ebbe a parlare al telefono con il (omissis), esponendogli il lavoro da fare e richiedendogli le attrezzature a ciò necessarie. Incontestato è che, per tutta risposta, il (omissis) gli disse di prendere in magazzino tutto quanto gli occorreva (attrezzature di lavoro e di sicurezza). In tale occasione - secondo la ricostruzione dei giudici di merito- il (omissis) manifestava - a sua detta - al (omissis) unicamente delle difficoltà del lavoro in un determinato lato ove poteva essere pericoloso accedere; e perciò il (omissis) gli disse di iniziare dall’altra parte. Poi si sarebbe deciso come fare per quel lato dal Omissis indicato come pericoloso.
Il giorno dopo il (omissis), che ha dichiarato di lavorare per la (omissis) dal 2002 e di aver svolto (fino al momento dell'Incidente) quel tipo di lavori - in altezza - quasi tutti i giorni, prima prese tutte le attrezzature che ritenne necessarie - anche dal punto di vista della sicurezza - e, poi, si recò presso il capannone ove, a mezzo dell'elevatore, salì sul tetto per, poi, cadere come già indicato.
Ebbene, circa la conoscenza dei luoghi da parte degli odierni imputati, il (omissis) ha dichiarato -e non sono emersi elementi atti a smentirlo- che si recava spesso (circa una volta a settimana) presso la omissis, con la quale aveva un rapporto da anni, e che, in una di quelle occasioni, gli era stato chiesto di fare questo lavoro di posa dei faretti; lavoro che doveva essere effettuato a mezzo dell'elevatore che la omissis avrebbe - come in accordo con essa - messo a disposizione, con anche una persona addetta alla sua manovra. Il tutto non essendosi mai ipotizzato che il lavoratore addetto a questi lavori sarebbe dovuto salire sul tetto.
Il (omissis) dai suo canto, che è incontestato avere parlato con il (omissis) la sera prima dell'incidente e di avergli detto di prendere quanto gli occorreva, ha riferito - anch'egli senza essere mai smentito- che nessuna necessità di impalcatura esterna gli era stata prospettata, dovendo il lavoratore usare l’elevatore ivi presente e messo a disposizione dalla omissis ".
Corretta, coerente e logica appare, dunque, la conclusione cui era pervenuto il giudice di prime cure di ritenere come, dal compendio probatorio acquisito, non apparisse possibile sostenere che quei lavori dovevano essere svolti dal tetto e non lo potessero, invece, dall'elevatore. E come risultasse anche difficile ipotizzare che il omissis. avesse - come dallo stesso affermato ma negato dal (omissis)- il giorno prima camminato sulle lastre di eternit ivi presenti e che avesse pensato di svolgere quel lavoro con una tale condotta. Ciò perché, come evidenzia il giudice di primo grado, anche solo dalle foto si nota come si trattasse di lastre spesse pochi millimetriche, chiaramente inidonee a reggere, anche per pochi secondi, il peso di un uomo.
In questo contesto, pertanto, il GM di Poggio Mirteto aveva ritenuto non fosse possibile contestare al (omissis) e al (omissis), nelle rispettive qualità, le condotte omissive loro imputate, considerando che gli stessi avevano organizzato il lavoro da effettuare senza che fosse prevista la necessità di salire sul tetto ed essendosi sincerati che la ditta presso la quale si dovevano effettuare i lavori mettesse a disposizione quell'elevatore Manitou che era più che sufficiente per l'attività da svolgere. D'altra parte -veniva rilevato- lo stesso ( omissis) nella sua deposizione, non sempre credibile, mai aveva riferito di avere posto al (omissis) la questione della necessità di salire sul tetto. E ha, invece, ammesso che il (omissis) la sera prima ebbe a dirgli di prendere tutto quanto occorrente per il lavoro da effettuare anche in materia di misure di sicurezza. Secondo la prospettazione del (omissis ) egli avrebbe solo prospettato al ( omissis) un problema relativo ad una parte del lavoro, problema che si era deciso di affrontare in un secondo momento, invitandolo a soprassedere per quella parte.
La conclusione era stata, in altri termini, che non fosse possibile rimproverare alcunché ai due odierni imputati avendo gli stessi messo a disposizione di un lavoratore esperto in materia - lavorando da 5 anni in quella azienda e facendo tutti i giorni lavori (in altezza) analoghi - l'attrezzatura (l'elevatore) necessaria a fare il lavoro in sicurezza e facendogli effettuare un preventivo sopralluogo per verificare l'eventuale necessità di ulteriori strumenti. Lavoratore che nulla rappresentava sul punto e che, poi, in modo imprevisto ed imprevedibile, saliva sul tetto e camminava su delle lastre molto sottili che, in modo peraltro inevitabile e certo, cedevano facendolo cadere da un'altezza di circa 6/7 metri.
Rispetto a tale ricostruzione dei fatti, confortata da specifici e puntuali richiami alle prove assunte, la Corte capitolina non appare essersi confrontata nei termini incisivi e puntuali richiesti dalla soprarichiamata giurisprudenza di questa Corte di legittimità cui è tenuto il giudice del gravame del merito allorquando si trova a ribaltare una pronuncia assolutoria.
8. La situazione che era stata posta all'esame dei giudici del merito era dunque la seguente.
Vi era un elettricista esperto cui era stato affidato un lavoro da svolgersi attraverso un elevatore e con una serie di strumenti di protezione di cui era stato dotato.
Quel lavoro -secondo quanto ricostruito da un teste esperto e come ha ricordato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione della ditta committente- poteva e doveva essere posto in essere in sicurezza dall'elevatore.
L'elettricista in questione, che peraltro era un soggetto particolarmente esperto di sicurezza sul lavoro essendo stato egli stesso nominato responsabile della sicurezza dei lavoratori della sua azienda, decide, forse per fare più in fretta, o comunque incautamente, di salire sul tetto per meglio posizionare i fili, percorre il tratto ricoperto da sottili lastre di eternit, che inevitabilmente si sfondano, e precipita al suolo.
Ebbene, che tipo di rimprovero può rivolgersi ad un datore di lavoro o a un responsabile aziendale per la sicurezza che ha dotato il dipendente, esperto e formato in materia di sicurezza del lavoro, di tutti i presidi antinfortunistici e della strumentazione necessaria per effettuare il lavoro in sicurezza, analogo a quello che egli era chiamato a compiere da cinque anni, rispetto a siffatto comportamento? Hanno potuto incolpevolmente il datore di lavoro e il responsabile per la sicurezza della (omissis) fare affidamento sul fatto che un soggetto così esperto non ponesse in essere il comportamento che ha cagionato l'incidente?
Le risposte da dare a simili quesiti, ad avviso del Collegio, sono che nessun rimprovero può muoversi ad entrambi gli odierni ricorrenti in un caso siffatto, in quanto gli stessi si sono legittimamente fidati della professionalità del soggetto cui aveva affidato il lavoro da compiersi.
9. Questa Corte Suprema ha reiteratamente affermato - e si ritiene di dover ribadire- che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis questa sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321).
Tuttavia, quello che ci occupa è proprio un caso in cui tutte le cautele possibili da assumersi ex ante erano state assunte.
Era da prevedersi che un operaio dotato di siffatta qualificazione -ponesse in essere un comportamento del genere?
Sul punto va ricordato che, come affermato nella recente sentenza delle Sezioni Unite n. 38343/2014 sul c.d. caso Thyssenkrupp, in tema di colpa, la necessaria prevedibilità dell'evento - anche sotto il profilo causale - non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (Cass. Sez. Un., n. 38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103 nella cui motivazione la Corte ha precisato che, ai fini della imputazione soggettiva dell'evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali).
Inoltre, è stato precisato che nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Cass. Sez. Un., n. 38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103; conf. sez. 4, n. 49707 del 4.11.2014, Incorcaia ed altro, rv. 263284; sez. 4, n. 22378 del 19.3.2015, PG in proc. Volcan ed altro, rv. 263494).
Ebbene, la risposta in termini di possibile prevedibilità dell'evento non può che essere che il comportamento posto in essere dal (omissis) non era azoicamente prevedibile.
10. Questa Corte di legittimità ha anche ricordato, in una recente pronuncia (sez. 4, n. 41486 del 5.5.2015, Viotto, non mass.), come il sistema della normativa antinfortunistica, si sia lentamente trasformato da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.
Tale principio, normativamente affermato dal Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro di cui al D.Lgs 9.04.2008 n. 81, naturalmente non ha escluso, per la giurisprudenza di questa Corte, come si ricordava, che permanga la responsabilità del datore di lavoro, laddove la carenza dei dispositivi di sicurezza, o anche la mancata adozione degli stessi da parte del lavoratore, non può certo essere sostituita dall'affidamento sul comportamento prudente e diligente di quest'ultimo.
Ricordava ancora la sentenza 41486/2015 -che il Collegio condivide pienamente- che in giurisprudenza, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" (che si rifà spesso all'art. 2087 del codice civile), si è passati - a seguito dell'introduzione del D. Lgs 626/94 e, poi del T.U. 81/2008 - al concetto di "area di rischio" (cfr. sez. 4, n. 36257 del 1.7.2014, rv. 260294; sez. 4, n. 43168 del 17.6.2014, rv. 260947; sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.
Strettamente connessa all'area di rischio che l'imprenditore è tenuto a dichiarare nel DVR, si sono, perciò, andati ad individuare i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza.
Si è dunque affermato il concetto di comportamento "esorbitante", diverso da quello "abnorme" del lavoratore. Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall'ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell'ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l'attività svolta.
La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.
Le tendenze giurisprudenziali -va qui ribadito- si dirigono anch'esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. "principio di autoresponsabilità del lavoratore). In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e - come condivisibilmente rilevava la sentenza 41486/2015, "si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale".
Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.
Questi principi si attagliano specificamente al caso di specie, essendo rimaste provate non solo la valutazione preventiva del rischio derivante dallo svolgimento in quota dei lavori di sostituzione dei faretti e di posizionamento dei fili, ma anche la concreta dotazione al lavoratore, nel frangente dell'Infortunio, degli strumenti idonei ad effettuare tali tipi di lavoro in sicurezza.
Ne deriva, ad avviso del Collegio, l'assenza di violazione della norma cautelare che, idonea forse, come ritenuto dal giudice di primo grado, ad influire sotto il profilo della tipicità oggettiva del reato, lo è certamente sotto il profilo soggettivo dell'assenza di colpa.
Ne deriva che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio e che entrambi gli imputati vanno mandati assolti dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato, con il conseguente venir meno delle statuizioni civili del giudice di secondo grado.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Roma il 10 febbraio 2016
Fonte:www.olympus.uniurb.it